La cripto vita

La possibilità di analizzare periodi temporali oggettivi mi permette di fare un bilancio più oculato, meno di pancia.. di fronte ad una giornata terribile dove mi sembra di aver sbagliato tutte le scelte…

Quando il fuoriclasse se ne va

Cosa accade in un team quando il fuoriclasse abbandona? È questa la domanda che mi sto ponendo in questi giorni in cui numerosi calciatori famosi tipo Ronaldo, Lukaku, Messi…

Fondo Nuove Competenze

La ripresa che avverrà nei prossimi mesi necessita sin da ora di un cambio di paradigma fondamentale che chiede di mettere ancora una volta al centro dell’interesse delle imprese il capitale umano.

Armadi, cassetti e cloud

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Da quando è partita la mia avventura quotidiana dello Smart Working o meglio del telelavoro, mi sono accorta di essere immersa nel più totale disordine.

Il primo disordine è quello della mia scrivania o meglio del tavolo su cui sto lavorando.

Con un figlio al liceo e una all’università le scrivanie e le stanze più riservate sono state requisite e a me rimane da utilizzare o il tavolo della cucina o quello della sala da pranzo, già comunque utilizzato da mio marito, anch’esso in smart working. Cavi, blocchi, penne, pc, telefonini e il vaso di fiori che prima era al centro della tavola nel suo splendore, ora è in un angolo dimostrando tutta la sua inutilità. (Ma quando l’ho comprato questo vaso?)

Poi il PC.

Menomale che sono anni che lavoriamo sul CLOUD e che il nostro settore ICT ha forzato per avviare una attività di Knowledge sharing anche in tempi non sospetti.

Ma adesso che guardo al nostro CLOUD con occhi da esterno e che devo aiutare le persone a cercare e trovare file, vedo con estrema lucidità il disordine che vi regna.

Leggo con chiarezza in queste directory e in questi file condivisi gli ultimi 5 anni della nostra vita lavorativa: i ritmi serrati, il turn over di alcuni dipendenti, la scarsa capacità insita nel genere umano di riutilizzare format esistenti e la necessità di creare sempre nuovi documenti.

Vivo, lavorando in questo cloud (che in questo momento ci ha salvato la vita professionale), la stessa sensazione di quando apri l’armadio nelle stagioni di mezzo, di quando ci sono ancora i maglioni invernali ma cerchi disperatamente le T-Shirt e tutto si mescola in un’unica stagione settembrina.

Ogni qual volta mi prende questa sensazione, dopo alcuni giorni, decido che è arrivato il momento giusto per tirare fuori tutto e rimettere  in ordine: capi con la stessa pesantezza da una parte, camicie e magliette da un’altra (vogliamo anche provare ad ordinare per colore?), cose da buttare perché non le uso da una vita.

Mettere in ordine non vuol dire solo dare un posto ad ogni cosa ma scegliere cosa indossare in futuro.

Lo so lo sforzo è tanto (poi io sono pure allergica alla polvere) ma la sensazione finale è bellissima. Dopo questo pazzo riordino non sarà più difficile capire cosa mettersi ma anzi saranno i vestiti a proporsi.

Bene, grazie a questo periodo di isolamento forzato, che mi ha fatto aprire l’armadio del nostro cloud ho capito che è necessario mettere in ordine anche qui.

Che alla base delle competenze dello Smart Worker, di cui si fa un gran parlare in questo momento, c’è una competenza fondamentale, forse banale, che definisco capacità di gestire l’ORDINE ossia la capacità di sapere dove collocare e condividere i documenti per sè e per gli altri.

Quello di cui parlo non riguarda solo la consapevolezza di dove archiviare le cose ma attiene alla capacità del singolo di avere consapevolezza del business dell’azienda per la quale si lavora e quindi condividerne appieno i processi.

Solo chi possiede questa consapevolezza è realmente capace di capire quali sono i documenti da condividere e dove archiviarli.

Senza dimenticare che uno smart worker efficace è anche consapevole che con molta probabilità quel documento, che deve produrre, è già stato elaborato da qualche collega e quindi sa dove cercare per trovare semilavorati o documenti già belli e fatti che possono far recuperare tanto tempo. Qui il discorso si complica. Nel lavoro a distanza, non devo essere solo ordinato per me, come accade nella mia cabina armadio, ma devo anche essere capace di condividere l’ordine e la logica dell’ordine stesso con altri per fare in modo che non bisogna ogni due giorni “tirare tutto fuori” e ricominciare da capo.

Quindi, visto che è ORA il tempo dello Smart working, decido di mettere ordine nel nostro CLOUD e mi rendo conto che non sto solo mettendo ordine in un posto fisico ma sto decidendo cosa buttare e cosa tenere, quale ex-dipendente salutare per sempre, quale logica dare al business e quali procedure condividere con i miei colleghi.

In ultima analisi sto facendo largo all’essenziale. Segno dei tempi.

Pina Basti

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La bella addormentata nel bosco e l’e-learning

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Nel 1995, noi di NEXUS, abbiamo vinto il primo progetto Europeo nel programma Telematique e abbiamo iniziato ad occuparci di applicazioni telematiche in particolar modo di Piattaforme di e-learning.

Siamo stati tra i primi in Italia a sviluppare una piattaforma di formazione a distanza proprietaria e abbiamo iniziato ad interrogarci con i partner europei sulle metodologie didattiche innovative. Le domande erano:

Come possiamo fornire a tutti uno strumento democratico che sia in grado di assicurare la formazione in qualsiasi momento della vita e da qualunque posto? Come possiamo assicurare a tutti i cittadini europei le stesse chances e garantire lo stesso livello di opportunità formativa lungo tutto l’arco della vita?

Intorno al 2000 l’UE ha imposto a tutti gli Stati Membri di inserire all’interno dei progetti da loro promossi, soluzioni legate alla cosiddetta Società dell’informazione e le agenzie formative locali hanno trovato in NEXUS un partner strategico capace di integrare la FAD all’interno de loro progetti formativi tradizionali.

Da questo momento sono partite per noi delle importanti collaborazioni con degli enti formativi storici che ci chiedevamo di inserire la nostra piattaforma di formazione a distanza all’interno dei loro progetti.

Sul territorio ci chiamavano i signori della FAD!

Anno 2000: vent’anni fa.

Indipendentemente dal profilo professionale proposto dall’ente, inserivamo materie attinenti le competenze trasversali in FAD con il primo obiettivo di insegnare un metodo e un modello formativo che sarebbe potuto diventare fondamentale per la crescita dei lavoratori del nuovo millennio.

Una miriade di problemi: pochi pc, connessioni lente, regolamentazioni spizzicate eppure abbiamo condotto una campagna di disseminazione della cultura dell’apprendimento a distanza senza eguali.

Spesso qualcuno ci chiedeva: ma non sarebbe più conveniente farci stare in aula, perché dobbiamo imparare a formarci a distanza?

E noi lì a spiegare che così come avevano imparato ad usare le penna a breve sarebbe diventato fondamentale imparare anche a formarsi a distanza.

Ma in effetti negli anni a seguire la necessità di formarsi a distanza non si è mai avvertita tanto a livello generale e, malgrado noi abbiamo continuato imperterriti ad inserire moduli in FAD all’interno dei nostri corsi, gli allievi si sono sempre chiesti se non fosse più utile per tutti riempire le aule, percorrere chilometri per raggiungere la nostra sede, incontrare di persona il docente e farsi 4 risate tra colleghi.

Tutto questo fino ad oggi, quando di colpo, senza un preavviso la nostra profezia si é avverata e Rosaspina si é veramente punta con il fuso del telaio come la strega aveva predetto.

In poche settimane le case si sono riempite di persone che si formano a distanza: bambini della scuola primaria, ragazzi dei licei e delle università, adulti in formazione continua che hanno potuto trasformare la loro esperienza d’aula in teleformazione. Di colpo si parla diffusamente e incessantemente di piattaforme, Webinar, teleformazione, condivisione, aula virtuale…..

Di colpo la natura ha fatto il salto e ha deciso che é arrivato il momento di cambiare.

Oggi mi chiedevo se i nostri sforzi di più di 20 sono serviti a qualcosa. Se qualche lavoratore a cui oggi si chiede di imparare a distanza non stia rispolverando gli appunti presi dalle nostre lezioni o se sono solo gli eventi drammatici che cambiano profondamente il corso della storia.

C’è vera novità solo quando non si può fare a meno di cambiare?

Non lo so, su questo ci sto ancora riflettendo.

Ma di una cosa sono certa: ci abbiamo creduto in tutti questi anni, quando  in pochi vedevano l’utilità della FAD e oggi è finalmente arrivato il momento di mettere a disposizione del mercato la nostra esperienza perché un mercato maturo deve essere consapevole che l’E-Learning e la Teleformazione non si improvvisano: la tecnologia è solo uno strumento ma il vero valore aggiunto risiede in ciò che riusciamo a trasferire attraverso il mezzo che usiamo. 

Nazario De Mori

La soluzione di problemi complessi

finanziamenti

Affrontare ostacoli e sfide fa parte della vita lavorativa e superarli non è sempre facile. Per migliorare le abilità interpersonali, per eccellere personalmente e per aiutare le organizzazioni, bisogna incoraggiare il pensiero creativo e trovare soluzioni innovative che funzionino.

Il problem solving creativo prevede di separare il pensiero “divergente” e “convergente“. 

Il pensiero divergente è il processo che genera molte potenziali soluzioni e possibilità, altrimenti note come brainstorming. E il pensiero convergente implica la valutazione di tali opzioni e la scelta di quella più promettente. 

(Se hai letto il nostro articolo sulla creatività sai di cosa parliamo)

Spesso usiamo una combinazione dei due per sviluppare nuove idee o soluzioni. Tuttavia, usarli contemporaneamente può portare a decisioni sbilanciate o distorte e può soffocare la generazione di idee.

Principi fondamentali di risoluzione dei problemi creativi

Esiste un strumento che si chiama CPS (Creative Problem Solving). Ha quattro principi fondamentali:

  1. Il pensiero divergente e convergente devono essere equilibrati. La chiave della creatività è imparare a identificare e bilanciare il pensiero divergente e convergente (fatto separatamente) e sapere quando esercitare ciascuno.
  2. Poni problemi come domande. Riformulando problemi e sfide come domande aperte con molteplici possibilità, è più facile trovare soluzioni.  Fare questo tipo di domande genera molte informazioni ricche, mentre porre domande chiuse tende a ottenere risposte brevi, come conferme o disaccordi. Le dichiarazioni problematiche tendono a generare risposte limitate.
  3. Rinvia o sospendi il giudizio. Giudicare le soluzioni all’inizio tende a bloccare la generazione di idee. Invece, c’è un tempo appropriato e necessario per giudicare le idee durante la fase di convergenza.
  4. Concentrati su “Sì e”, piuttosto che “No, ma”. La lingua è importante quando si generano informazioni e idee. “Sì,” incoraggia le persone ad espandere i loro pensieri, il che è necessario durante alcune fasi della CPS. L’uso della parola “ma” – preceduto da “sì” o “no” – termina la conversazione e spesso nega ciò che viene prima.

Come usare lo strumento

Esploriamo come è possibile utilizzare ciascuno dei quattro passaggi del modello CPS per generare idee e soluzioni innovative:

  1. CHIARIRE
  2. IDEARE
  3. SVILUPPARE
  4. IMPLEMENTARE

1. Chiarire

Esplora la visione

Identifica il tuo obiettivo, desiderio o sfida. Questo è un primo passo cruciale perché è facile supporre, erroneamente, di sapere qual è il problema. Tuttavia, potrebbe essersi perso qualcosa o non essersi compreso appieno il problema. Definire quindi l’obiettivo può fornire chiarezza. 

Quando hai aumentato la tua consapevolezza della sfida o del problema che hai identificato, fai delle domandeBrainstorming e mappe mentali possono aiutare a migliorare la creatività.

2. Ideare

Esplora idee

Quindi occorre generare idee che rispondano alle domande della sfida identificato nel passaggio precedente. Può essere allettante prendere in considerazione soluzioni già provate, perché le menti tendono a tornare a schemi di pensiero abituali che impediscono di produrre nuove idee. Ricorda però: questa è un’opportunità per usare la tua creatività 

3. Sviluppa

Formulare soluzioni

Questa è la fase convergente di CPS, in cui ci si concentra sulla valutazione di tutte le possibili opzioni e si cominciano a trovare soluzioni. Bisogna analizzare se le potenziali soluzioni soddisfano le esigenze e i criteri e quindi decidere se è possibile implementarle con successo. 

4. Implementare

Formulare un piano

Una volta scelta la soluzione migliore, è tempo di sviluppare un piano d’azione. Quindi si inizia identificando le risorse e le azioni che permetteranno di implementare la soluzione scelta. Successivamente, occorre comunicare il piano e assicurarsi che tutti i soggetti coinvolti lo comprendano e lo accettino.

 

Il CPS è un approccio alla risoluzione di problemi semplici e generali, quindi occorre non fare affidamento esclusivamente su di esso per trovare soluzioni efficaci. Esistono numerosi altri strumenti più appropriati per la risoluzione di problemi analitici. Se avrai la pazienza di seguirci, ti forniremo altri strumenti.

E per cominciare aggiungiamo due brani alla nostra playlist su Spotify: Resolve dei Foo Fighters e Fixer dei Pearl Jam.

Vi ricordo che questa playlist è ascoltabile su Spotify, e lo scopo è quello di “ancorare” a determinati momenti musicali le competenze trasversali che stiamo analizzando.

Nazario De Mori

La solitudine dei capitani d’azienda

azienda

Nelle aziende, coloro che sono al comando sono le persone che più di tutte vivono una continua solitudine legata al ruolo. Me ne accorgo ogni giorno di più, in occasione di incontri di lavoro, quando a tu per tu i capitani di aziende mi raccontano, come un fiume in piena, la loro esperienza.

I capitani di aziende, che mi capita di incontrare per lavoro, molto spesso si soffermano a raccontarmi che a loro viene chiesto di vestire ogni giorno gli abiti della persona motivata: decisionista ma allo stesso tempo ispiratrice, sicura di sé e visionaria al punto da rassicurare tutti sulla concretezza del loro posto di lavoro e sul valore del loro progetto professionale. Molto spesso la loro leadership è tale da gestire questa richiesta con tranquillità ed entusiasmo, ma ci sono dei momenti in cui le preoccupazioni sono molte, le banche che chiedono più garanzie, il mercato in flessione, gli aspetti organizzativi da risolvere, i clienti pressanti…

E guai in questi momenti a dimostrare stanchezza e preoccupazione potrebbe scattare, tra le risorse umane, l’idea che forse è meglio trovarsi un nuovo posto di lavoro e scappare…. Inoltre chi è convinto che circondarsi da personalità differenti sia un valore di cui l’azienda non può fare a meno, avverte anche la necessità di rapportarsi in modo differente con le risorse umane: riuscire ad essere sfidante con chi cerca competizione; rassicurante con chi ricerca tranquillità, coinvolgente con chi vive nel team la sua realizzazione.

E se le cose non vanno per il verso giusto, se la stanchezza assale o se lo stress è troppo alto, se i cambiamenti del mercato del lavoro sono stati così repentini da richiedere un nuovo assetto organizzativo e quindi regna una fase di confusione, se l’empatia con la risorsa non si trova? Con chi può confidarsi il nostro apicale?

A rendere questa sensazione di solitudine ancor più pesante c’è alcune volte la consapevolezza dei rumors aziendali, del lamento, del chiacchiericcio di chi durante la pausa caffè, nei corridoi, utilizzando sistemi di messaggistica interni, mugugna su chi comanda, sulla organizzazione confusa, sul “modello di leadership”, come se questo diffuso malessere non arrivasse alle orecchie attente del capo.

Quante volte sento affermazioni del tipo: è troppo intransigente, era meglio il padre, l’organizzazione non funziona, fossi io al suo posto farei meglio… Quando ciò accade avverto lo stesso senso di disagio di quando di fronte ai cancelli della scuola dei miei figli, alcune mamme dei bambini (spesso senza alcuna  esperienza) mi dicevano: “Non condivido il metodo didattico della maestra, indiciamo una riunione”. In mente mia mi chiedevo: “ma cosa dobbiamo dire in questa riunione? Perché non la facciamo lavorare questa “povera crista” e proviamo a supportarla invece di darle contro…già primi giorni di scuola”

Per anni ho pensato che un capo potesse essere “amico delle proprie risorse” cosi’ come anche per tanto tempo si è discusso sui genitori “amici” dei propri figli.

Niente… secondo me non vale in nessuno dei due casi.. chi è capo deve esercitare questo ruolo assumendo delle decisioni a volte impopolari, cercando di restare sempre un super-eroe nell’immaginario comune, costruendo relazioni profonde di stima e di rispetto che prescindono dalla ricerca della quotidiana complicità.

Ed è proprio nella quotidianità che a volte, scatta la solitudine di cui parlavo prima. L’impossibilità di essere sempre se stessi per vestire ogni giorno gli abiti di un condottiero senza paura.

Napoleone quando era stanco della guerra e stava per tornare, diceva a Giuseppina “Non lavarti, arrivo”, tutti hanno sempre raccontato questo episodio come un desiderio sessuale, io ho sempre pensato che Napoleone, stanco di dover essere sempre un condottiero senza paura, voleva sentire ogni tanto l’afrore dell’umanità.

Pina Basti

Profumo di cambiamento

innovazione
Il mercato del lavoro è così in costante cambiamento e trasformazione che mi ha sempre dato l’idea di poter essere paragonato ad un cestello di una lavatrice.

La volta che ho teorizzato questa assurda equivalenza  ricordo di essermi detta: “Cara mia puoi decidere, o ti metti a girare sulle pareti, spinta dalla forza centrifuga insieme agli altri panni o, se ti fermi, sprofondi”.!

Questa consapevolezza deriva da una illuminazione che ho avuto davanti all’elettrodomestico, probabilmente nelle ore notturne, quando la testa non riusciva a fermarsi e i cassetti erano inesorabilmente carenti di panni puliti.

Fra le tante centrifughe che vivo ogni giorno ce ne sono alcune, che riconosco come diverse: sono quelle che mettono il turbo e che trascinano dietro di loro tutto quanto. Quando capisco che siamo in presenza di questo tipo di movimento, avverto chiaramente che è ora di fare qualcosa: è arrivato il momento di riorganizzarsi e pensare a nuovi processi, è tempo di ascoltare nuovi profumi.

È una sensazione simile a quella che avvertiva Vianne la protagonista del film Chocolat, che sul più bello sentiva il profumo del cambiamento arrivare e non poteva che assecondarlo. Oggi sento anch’io che siamo in presenza di una centrifuga diversa e che il “profumo” è cambiato.

Avverto con estrema chiarezza che il mercato che conosco sta mutando profondamente e che le priorità delle persone si stanno modificando.

È questa una di quelle fasi in cui la natura FA il salto e il cambiamento diventa evidente e si palesa ciò che, fino a ieri, non avevi voluto o saputo vedere.

Tra i cambiamenti più importanti ci sono principalmente nuovi paradigmi di pensiero, primo fra tutti il digital thinking. Fino a qualche mese fa ritenevo che tutto il processo di digitalizzazione avrebbe portato con sé la  necessità di impegnarci quasi esclusivamente in un up-grade di competenze hard, invece ora mi è estremamente chiaro che se non lavoriamo contemporaneamente anche un diffuso sviluppo di competenze soft, le persone chiamate a inventare e proporre nuovi processi o nuovi prodotti   non saranno capaci di attivare alcun cambiamento.

Ancora una volta le competenze comportamentali tornano prepotenti ad affermare la loro validità. Ho sentito parlare la prima volta di competenze trasversali penso alla fine degli anni 90 quando si cominciò, timidamente, a ritenere che i  comportamenti erano importanti almeno quanto le abilità tecniche e i lavoratori hanno cominciato ad essere valutati non solo per quello che sapevano o non sapevano fare ma anche per il modo in cui si ponevano nei riguardi degli altri e per loro capacità di essere problem solving.

Poi Goleman con la sua Intelligenza Emotiva ha profondamente modificato lo status quo  e ha instillato in tutti la necessità di confrontarsi anche su altri temi oltre quelli tecnici.

Cosa cambia ora in questa nuova Rivoluzione Industriale?

Cambia, sicuramente, che quelle che erano considerate competenze comportamentali di alto profilo, da destinare ai manager o comunque agli apicali, oggi diventano strutturali e quindi devono essere sviluppate da  tutti coloro che lavorano e che sicuramente avranno a che fare con un lavoro ibrido. Alcune competenze quali: la capacità di gestire il cambiamento, il problem solver, lo sviluppo del pensiero divergente ora non appartengono più ad una elite ma diventano trasversali a tutti i lavoratori.

Ci troviamo di fronte quindi ad un cambiamento che a ben vedere porta con sé una democratizzazione di sviluppo di consapevolezza dei propri comportamenti e per questo acquisisce ancora di più importanza ai miei occhi.

Vianne partirebbe senza pensarci due volte.

Pina Basti

Vita on the road alla guida di imprese e persone

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Quando la vedo brillare negli occhi di un capo di azienda la riconosco subito ed appare senza dubbio alcuno. È una passione totalizzante che piano piano colma tutta la sfera lavorativa e personale, che non ti fa pensare ad altro, che genera fatica, spesso stress e preoccupazione, ma sempre orgoglio e soprattutto entusiasmo. Si, utilizzerei proprio questa parola “entusiasmo totalizzante” per raccontare l’atteggiamento di chi all’inizio della sua carriera ti descrive la propria azienda come la sua creatura ma anche di chi, dopo tanti anni, si eccita ancora di fronte ad un nuovo prodotto, immaginandone già successi a dir poco internazionali.

In questi anni ho fondato aziende, ho guidato start up, ho supportato giovani e meno giovani nella loro avventura imprenditoriale e oggi mi trovo spesso a offrire consulenza ad imprenditori sullo sviluppo delle loro “creature”. Ormai ho imparato a riconoscere quel fuoco che brucia dentro le persone che vivono l’azienda come passione: non ce l’hanno tutti e spesso quando non la ritrovo in chi (per cause familiari o fortuite) si trova a gestire una azienda, ne vedo subito la fatica estrema e in alcuni casi quasi la disperazione.

Ed è proprio di questo mio entusiasmo totalizzante che desidero parlare, per raccontare cosa ho imparato in questi anni nel mondo dell’impresa e delle organizzazioni: una visione di una donna che, malgrado tutto e tutti, adora ancora questo lavoro.

Durante un corso di creazione di impresa è per me scoccata la scintilla verso il mondo dell’imprenditorialità. Eppure non avevo nessun desiderio palese di avventurarmi nel mondo dell’”impresa” e cercavo una collocazione lavorativa capace di assicurarmi uno stipendio ogni mese, regolare e sicuro. Ma in quel Master, in quel lontano 1991, qualcosa si è acceso dentro di me e ancora oggi a quasi 30 anni di distanza sento ancora bruciare l’ardore di chi vive l’azienda come una enorme passione.

Pina Basti