Armadi, cassetti e cloud

formazione

Da quando è partita la mia avventura quotidiana dello Smart Working o meglio del telelavoro, mi sono accorta di essere immersa nel più totale disordine.

Il primo disordine è quello della mia scrivania o meglio del tavolo su cui sto lavorando.

Con un figlio al liceo e una all’università le scrivanie e le stanze più riservate sono state requisite e a me rimane da utilizzare o il tavolo della cucina o quello della sala da pranzo, già comunque utilizzato da mio marito, anch’esso in smart working. Cavi, blocchi, penne, pc, telefonini e il vaso di fiori che prima era al centro della tavola nel suo splendore, ora è in un angolo dimostrando tutta la sua inutilità. (Ma quando l’ho comprato questo vaso?)

Poi il PC.

Menomale che sono anni che lavoriamo sul CLOUD e che il nostro settore ICT ha forzato per avviare una attività di Knowledge sharing anche in tempi non sospetti.

Ma adesso che guardo al nostro CLOUD con occhi da esterno e che devo aiutare le persone a cercare e trovare file, vedo con estrema lucidità il disordine che vi regna.

Leggo con chiarezza in queste directory e in questi file condivisi gli ultimi 5 anni della nostra vita lavorativa: i ritmi serrati, il turn over di alcuni dipendenti, la scarsa capacità insita nel genere umano di riutilizzare format esistenti e la necessità di creare sempre nuovi documenti.

Vivo, lavorando in questo cloud (che in questo momento ci ha salvato la vita professionale), la stessa sensazione di quando apri l’armadio nelle stagioni di mezzo, di quando ci sono ancora i maglioni invernali ma cerchi disperatamente le T-Shirt e tutto si mescola in un’unica stagione settembrina.

Ogni qual volta mi prende questa sensazione, dopo alcuni giorni, decido che è arrivato il momento giusto per tirare fuori tutto e rimettere  in ordine: capi con la stessa pesantezza da una parte, camicie e magliette da un’altra (vogliamo anche provare ad ordinare per colore?), cose da buttare perché non le uso da una vita.

Mettere in ordine non vuol dire solo dare un posto ad ogni cosa ma scegliere cosa indossare in futuro.

Lo so lo sforzo è tanto (poi io sono pure allergica alla polvere) ma la sensazione finale è bellissima. Dopo questo pazzo riordino non sarà più difficile capire cosa mettersi ma anzi saranno i vestiti a proporsi.

Bene, grazie a questo periodo di isolamento forzato, che mi ha fatto aprire l’armadio del nostro cloud ho capito che è necessario mettere in ordine anche qui.

Che alla base delle competenze dello Smart Worker, di cui si fa un gran parlare in questo momento, c’è una competenza fondamentale, forse banale, che definisco capacità di gestire l’ORDINE ossia la capacità di sapere dove collocare e condividere i documenti per sè e per gli altri.

Quello di cui parlo non riguarda solo la consapevolezza di dove archiviare le cose ma attiene alla capacità del singolo di avere consapevolezza del business dell’azienda per la quale si lavora e quindi condividerne appieno i processi.

Solo chi possiede questa consapevolezza è realmente capace di capire quali sono i documenti da condividere e dove archiviarli.

Senza dimenticare che uno smart worker efficace è anche consapevole che con molta probabilità quel documento, che deve produrre, è già stato elaborato da qualche collega e quindi sa dove cercare per trovare semilavorati o documenti già belli e fatti che possono far recuperare tanto tempo. Qui il discorso si complica. Nel lavoro a distanza, non devo essere solo ordinato per me, come accade nella mia cabina armadio, ma devo anche essere capace di condividere l’ordine e la logica dell’ordine stesso con altri per fare in modo che non bisogna ogni due giorni “tirare tutto fuori” e ricominciare da capo.

Quindi, visto che è ORA il tempo dello Smart working, decido di mettere ordine nel nostro CLOUD e mi rendo conto che non sto solo mettendo ordine in un posto fisico ma sto decidendo cosa buttare e cosa tenere, quale ex-dipendente salutare per sempre, quale logica dare al business e quali procedure condividere con i miei colleghi.

In ultima analisi sto facendo largo all’essenziale. Segno dei tempi.

Pina Basti