Quando il fuoriclasse se ne va

Cosa accade in un team quando il fuoriclasse abbandona? È questa la domanda che mi sto ponendo in questi giorni in cui numerosi calciatori famosi tipo Ronaldo, Lukaku, Messi…

Essere leader o non essere leader. Questa è la domanda/3

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I veri leader sono gli amministratori del futuro. Si assumono responsabilità che gli altri non vogliono assumersi. Perché lo fanno? Perché vogliono farlo e perché hanno imparato a farlo.

Allora continuiamo ad imparare e conosciamo le ultima 4 caratteristiche di un buon leader

9. Gestisci la pressione

Se hai delle responsabilità hai già preso decisioni sbagliate, è inevitabile che accada. Quindi sai benissimo che le cattive decisioni non sono prese per mancanza di capacità o di giudizio istintivo, ma a causa dell’incapacità di gestire la pressione nel momento cruciale. Come riuscire a gestire allora quei momenti in cui c’è qualcosa in gioco, ci sono conflitti, c’è una scadenza, un’urgenza e ci sono molti stimoli e distrazioni?

Fatti aiutare da un samurai! Miyamoto Musashi è stato il più famoso samurai giapponese. Ha affrontato decine di duelli senza mai perderne uno. La sua abilità si basava su un “doppio sguardo”; un occhio sulla situazione immediata (l’avversario) e l’altro sull’immagine più grande (lo stato di avanzamento sul campo di battaglia più ampio). La chiave del successo, quindi è la capacità di passare costantemente tra le due situazioni. Non ha senso che tu ti concentri sui dettagli dell’esecuzione se non hai un chiaro senso della strategia generale – e viceversa. E come fare ad adottare questa strategia? Beh, ovviamente c’è da studiare ed imparare.
Ma io ti avevo avvisato nel post precedente: I LEADER IMPARANO!

Un consiglio: crea delle mappe, cioè degli schemi che chiariscono i problemi e forniscono un punto di riferimento facile da ricordare in situazioni di pressione. Comunque dai una letta a “Il libro dei cinque anelli: la vita come strategia” di Miyamoto Musashi.

10. Conosci te stesso. Sii te stesso

Nella camera interna del tempio di Luxor, nell’Alto Egitto si trova inciso un geroglifico il cui significato è: “Uomo, conosci te stesso e conoscerai gli dei”. Se non ti fai deconcentrare dalla confusione e dai problemi quotidiani, puoi diventare libero di seguire la tua strada, sarai resiliente e forte. Lo sviluppo dell’io autentico è di enorme importanza per la performance, come dicono gli psicologi che lavorano nella nostra azienda. Questa è l’essenza del leader, la sua base. Dopo 30 anni di esperienza credo fermamente che i migliori leader rimangono fedeli ai propri valori più profondi. Sono loro che conducono la loro vita e gli altri li seguono.

11. I leader vanno oltre

A qualsiasi cosa ci dedichiamo nella vita, che si tratti di un’impresa o un progetto, la famiglia o una causa, un’arte o una convinzione, facciamo sempre dei sacrifici. Che rinunciamo a un’ora, a un giorno o all’esistenza intera, stiamo vivendo la nostra vita per un obiettivo. Quindi è meglio che ne valga la pena.

12. Inventa il tuo linguaggio

I leader sono narratori. Tutte le grandi organizzazioni sono nate da una storia accattivante. Questo pensiero centrale aiuta le persone a capire per cosa lottano e per quale motivo. Perché le parole innescano le rivoluzioni. Lo storytelling basato su valori forti e importanti, che utilizza un linguaggio comune con mantra, motti e metafore, aiuta i leader a mettere in connessione il significato personale degli appartenenti al loro gruppo con la propria visione del futuro.

Qual è il nutrimento di un leader? La conoscenza. La comunicazione

Per chiudere voglio riassumerti le 12 caratteristiche che definiscono ogni buon leader:

  1. Non sentirti mai troppo grande per fare le cose piccole
  2. Quando arrivi al culmine, cambia obiettivo
  3. Gioca con uno scopo. Chiediti: perché?
  4. I leader creano leader.
  5. Crea un ambiente di apprendimento
  6. Privilegia la logica del “noi”
  7. Punta verso grandi obiettivi
  8. Allenati per vincere. Esercitati sotto pressione
  9. Gestisci la pressione
  10. Conosci te stesso
  11. I leader vanno oltre
  12. Inventa il tuo linguaggio

Le altre due parti di questo lunghissimo post sono:

Essere leader o non essere leader. Questa è la domanda/2

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Sicuramente vi è capitato di vedere un stormo di uccelli migratori in cielo. In autunno e primavera si vedono spesso nei cieli delle nostre città.

Un uccello fa da guida e sta davanti a tutti; a turno questa guida viene assunta dagli altri membri dello stormo, in un sistema di supporto sincronizzato e senza soluzione di continuità. Gli ornitologi dicono che volare in questo modo è il 70% più efficiente che volare da soli. Se un uccello rompe la formazione, avverte la resistenza del vento e si riunisce allo stormo. Se uno rimane indietro, gli altri aspettano finché non si ricongiunge. È una perfetta dinamica organizzativa ed è un’ottima metafora del concetto di Team.

Nessuno viene lasciato indietro È una perfetta dinamica organizzativa ed è un’ottima metafora del concetto di Team.

Riprendo il discorso da dove lo avevo lasciato e vi elenco altre 4 caratteristiche che secondo me definiscono il leader

5. Crea un ambiente di apprendimento

I leader sono insegnanti.

L’eccellenza è un processo fatto di apprendimento cumulativo e di miglioramento incrementale. Quindi il vero  leader promuove un sistema strutturato ai fini dello sviluppo del team, nonché  una mappa su misura per lo sviluppo degli individui.

Penso che per eccellere, occorra creare una mappa giornaliera di automiglioramento. Un po’ come gli atleti professionisti, che hanno un calendario quotidiano personalizzato di allenamento. Questa mappa funziona come strumento di sviluppo per squadre e organizzazioni.

Grazie a questo approccio dinamico vengono forniti nuovi obiettivi e si sviluppano nuove abilità. Le persone si sforzano al massimo, diventano più capaci e raggiungono risultati migliori per la squadra. Insomma su due aspetti il leader deve puntare l’attenzione:

I LEADER SONO INSEGNANTI
I LEADER IMPARANO

6. Privilegia la logica del “noi”

Qui bisogna citare Kypling: “Perché la forza del branco è il lupo, e la forza del lupo è il branco.” Si tratta insomma di passare da un logica dell’”io” ad una logica del “noi” senza abbandonare la forza dell’individualità. Un team si costruisce dall’interno. E standard elevati devono provenire da dentro il team

7. Punta verso grandi obiettivi

I leader di successo hanno elevati parametri di riferimento. Fissano in alto le proprie aspettative e cercano di superarle. Esiste un proverbio maori che dice: “Punta alla nuvola più alta, così, se la manchi, raggiungerai una montagna maestosa.” Cioè bisogna avere una grande storia in cui credere e grandi obiettivi a cui tendere

8. Allenati per vincere. Esercitati sotto pressione.

Michael Jordan in un’intervista diceva che non aveva mai avuto paura durante una gara, perché si era allenato così tanto intensamente da avere sotto controllo ogni tipo di situazione. Infatti allenarsi intensamente accelera la crescita personale.
Lo scopo è attivare una maggiore lucidità e accuratezza in situazioni di stress e incrementare la capacità di riportare l’attenzione al presente e al compito attuale. I leader intelligenti utilizzano l’intensità per sfidare se stessi e la propria squadra, e per aumentare competenza e capacità. L’allenamento psicologico intensivo è essenziale per sviluppare resistenza mentale e capacità di reazione.

Alla prossima per gli ultimi 4 punti su cui focalizzarsi per essere leader.

Nazario De Mori

Essere leader o non essere leader. Questa è la domanda/1

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Sono un leader? Che tipo di leader sono? In questo ultimo mese ho dovuto pensare molto alla leadership. In azienda abbiamo avuto delle attività che ci coinvolgevano su questo tema.

Cosa vuol dire essere leader? Cos’è la leadership?

Ho dovuto rimettere in discussione molte delle mie convinzioni ed in qualche modo sono entrato in crisi.

La leadership si insegna oppure dipende esclusivamente dal nostro carattere?

Invece di insegnare leadership, in questo momento storico non è meglio insegnare la “followerships”? Cioè i buoni seguaci riescono a creare i grandi leader?

Ovviamente, dato il mio carattere, ho dovuto leggere molto ed approfondire l’argomento ed ho capito che per essere buoni leader occorre avere 12 caratteristiche. Sono caratteristiche che occorre declinare puntualmente, e quindi ho deciso di elencarle in 3 post diversi, così da non essere troppo lungo. Cominciamo

1.  Non sentirti mai troppo grande per fare le cose piccole

Il leader è il primo che si mette in gioco; anche a svolgere compiti più umili da condividere con le persone del proprio gruppo. Non bisogna sentirsi mai troppo grandi per fare le cose piccole. Perché la sfida è migliorare sempre, perfezionarsi di continuo, anche quando sei già il migliore.

Soprattutto quando sei il migliore. Questo atteggiamento aiuta ad essere in relazione con la realtà dell’ambiente in cui siamo immersi, perché bisogna avere orgoglio assoluto nella performance e umiltà totale di fronte alla grandezza del compito. Inoltre ci permette di entrare in un’ottica di miglioramento continuo; non ci permette di sentirci arrivati al culmine della nostra carriera, perché la sfida è migliorare sempre, perfezionarsi di continuo, anche quando sei già il migliore. Aiuta anche a forgiare il carattere del gruppo di cui siamo leader: un gruppo di individui capaci ma indisciplinati alla fine non potrà fare altro che fallire; il carattere trionfa sempre sul talento.

2. Quando arrivi al culmine, cambia obiettivo

Bisogna essere pronti al cambiamento, sia che si lavori in un ambiente molto strutturato che in uno più semplice da gestire. Il declino organizzativo è inevitabile a meno che i leader non si preparino per il cambiamento, persino quando si trovano all’apice del successo. Esempi? Kodak, Nokia, Blockbuster….Tutte aziende che erano i player principali dei loro settori e che si sono estinte (in qualche modo). Bisogna quindi creare un’organizzazione vincente che abbia un ambiente di sviluppo personale e professionale in cui ogni individuo si assume le proprie responsabilità e ne condivide il possesso. (Questo è per il mio G.M., che si è battuta fortemente per creare un ambiente di knowledge sharing)

3. Gioca con uno scopo. Chiediti: perché?

Questo è uno dei miei punti preferiti. Troppo spesso nelle aziende il perché, la motivazione che ci spinge a lavorare per un determinato obiettivo, viene sottostimata o taciuta. E invece i leader collegano il significato personale a uno scopo più alto per creare un valore condiviso e indicare una direzione. Diciamo che, visto che vivo in un ambiente circondato di psicologi, “L’autorealizzazione è possibile solo come effetto collaterale della trascendenza da sé”. Cioè dell’andare oltre se stessi. E comincia con la domanda: perché?

Alcuni esempi anche qui? L’agenzia Saatchi & Saatchi vuole rendere il mondo un posto migliore per tutti, la Ford vuole democratizzare l’automobile, la Disney porta il sorriso sul volto dei bambini, la Nike dà forza al singolo, la Procter & Gamble è all’instancabile ricerca di essere la migliore mentre per la Toyota c’è sempre un modo migliore. E avete presente il Barcellona, la squadra di calcio? Sugli spalti hanno scritto la frase “mes que un club”: più di una squadra. Il loro perché è la Catalogna, la libertà. Vogliamo essere un po’ più prosaici? Allora sappiate che “Le persone non comprano quello che fa un’azienda, ma il perché lo fa” (Simon Sinek, “Partire dal perché”) . I leader, le aziende e i team motivati trovano il loro scopo più profondo, il loro “perché?”, e attirano sostenitori grazie a valori, visione e convinzioni condivisi.

4. I leader creano leader

In un’azienda che vuole avere un futuro, ma anche un presente, i leader creano leader trasferendo responsabilità e creando fiducia. Perché responsabilità condivisa significa senso di inclusione e quindi che gli individui sono più motivati a spendersi per una causa comune. Una grande verità, non detta da me ma da Tom Peters, è che “I leader non creano seguaci. Creano altri leader”. Per fare ciò occorre trasmettere ai membri del team un senso di grande autostima: che ciascuno, in qualsiasi momento, possa sentirsi ed essere la pedina più importante.

Prossimamente altre 4 punti su cui focalizzarsi per essere leader.

Nazario De Mori

Smart cities, curiosità e leadership: il teamwork

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Una delle competenze più richieste dalle aziende è la capacità di lavorare in team.

Ma che cos’è il teamwork? È lavorare in gruppo con persone con le quali non è detto che si condivida molto. Significa coordinare e collaborare, superando confini di ogni tipo, competenza, distanza, fuso orario, ecc., per portare a termine il lavoro. 

Viviamo tempi esponenziali, con turni pazzeschi e competenze sempre più circoscritte. Molto spesso bisogna lavorare con persone sempre diverse per portare a termine il lavoro, e non sempre abbiamo il lusso di avere squadre stabili. 

Certo, se quel lusso è possibile, ben venga. Ma sempre più spesso, per gran parte del lavoro che facciamo oggi, questa possibilità non esiste. 

Esempio: gli ospedali. Devono essere aperti 24 ore al giorno 7 giorni la settimana, e i pazienti sono sempre diversi. Sono tutti unici e diversi in modi complicati. Il paziente ricoverato in ospedale è visto da assistenti diversi durante la degenza. 

Provengono da diversi turni, diverse specializzazioni, diversi settori di competenza e magari neanche si conoscono fra loro. Ma devono coordinarsi affinché il paziente venga curato al meglio. Se non lo fanno, i risultati possono essere tragici. 

Certo, nel lavoro di squadra, la posta in gioco non è sempre la vita o la morte. Se penso all’azienda in cui lavoro, comunque ci vogliono competenze diverse in momenti diversi, non ci sono ruoli fissi, si fanno molte cose che non si sono mai fatte prima e che non si possono fare in un team stabile. Questo modo di lavorare non è facile, ma come ho detto, è sempre più spesso il modo in cui molti di noi devono lavorare. 

Mi è capitato di lavorare in un progetto europeo che riguardava le smart cities. Forse ne avete sentito parlare: edifici a consumo netto di energia nullo, mobilità intelligente, città verdi, vivibili e meravigliose. L’urbanizzazione che il pianeta sta vivendo, e il cambiamento climatico, indicano che le città sono sempre più un obiettivo cruciale per l’innovazione. In tutto il mondo, in varie località, le persone stanno collaborando per progettare e cercare di creare città verdi, vivibili e intelligenti. 

È un’enorme sfida per l’innovazione. Nel progetto in cui ho lavorato dovevano collaborare un’azienda di software per smart city, un’impresa edile, alcuni ingegneri civili, un sindaco, un architetto, alcune aziende tecnologiche e un’azienda di trasferimento di competenze (la nostra). L’obiettivo era di costruire da zero un modello di smart city. Dopo cinque anni di progetto, non era successo molto. Sei anni, ancora nessun passo avanti. Sembrava che la collaborazione al di là dei confini industriali fosse davvero, molto difficile.

Avevamo vissuto con questo progetto, lo “scontro tra culture professionali”. Sapete, gli ingegneri del software e gli imprenditori edili pensano in modo molto diverso: valori diversi, tempistiche diverse, e un gergo diverso, un linguaggio diverso. Quindi non sempre le cose si vedono allo stesso modo. Lo scontro tra culture professionali è un grande ostacolo alla costruzione del futuro che desideriamo. Come fare in modo che i team funzionino bene, soprattutto se grandi? 

Per farsi un’idea di come rispondere a questa domanda, dobbiamo fare un viaggio nel tempo e nello spazio: torniamo al 5 agosto 2010 in Cile. Quel giorno la miniera di rame di San José crollò intrappolando 33 uomini a 800 metri di profondità. Questi minatori riescono a raggiungere un piccolo rifugio progettato a questo scopo, dove troveranno un intenso calore, sporcizia e cibo sufficiente per due uomini per dieci giorni. Non ci vuole molto perché gli esperti in superficie capiscano che non c’è soluzione. Nel settore, non esiste una tecnologia capace di perforare rocce così dure e profonde abbastanza velocemente da salvare loro la vita. Non si sa esattamente dove si trovi il rifugio. Non è neppure chiaro se i minatori siano vivi.

Per 10 settimane centinaia di persone provenienti da professioni diverse, aziende diverse, settori diversi e anche nazioni diverse fecero lavoro di squadra. 

Ci sono state molte idee, si sono provate molte cose. Hanno sperimentato, hanno fallito, hanno vissuto ogni giorno insuccessi devastanti, ma si sono ripresi, hanno insistito e sono andati avanti. 

Durante quella crisi in Cile sono stati capaci di essere umili di fronte a una sfida estremamente reale. 

Erano disposti a correre rischi per capire rapidamente cosa poteva funzionare. Idee e progetti venivano proposti da brillanti ingegneri minerari, dalla NASA, dalle forze speciali cilene, da volontari di tutto il mondo. Mente il mondo guardava, queste persone facevano progressi lenti e dolorosi attraverso la roccia. Il 17° giorno finalmente hanno aperto un varco verso il rifugio. 

Grazie a una serie di tecniche sperimentali, con una piccola incisione sono riusciti a trovarlo. Poi, per i successivi 53 giorni, quella stretta linea sarebbe stata la via attraverso la quale cibo, medicine e comunicazione avrebbero viaggiato, mentre in superficie, per altri 53 giorni, proseguiva il lavoro di squadra per trovare il modo di creare un buco molto più grande e per progettare una capsula che li tirasse fuori. Poi, il 69° giorno, dopo oltre 22 estenuanti ore, sono riusciti a tirar fuori i minatori, uno per uno. 

Come hanno fatto a superare lo scontro di culture professionali? Direi, in una parola, con la leadership. Quando il lavoro di squadra funziona, si può essere sicuri che alcuni leader, leader a tutti i livelli, sanno benissimo di non avere le risposte. Chiamiamola “umiltà situazionale”. Le persone che hanno lavorato per liberare i minatori erano molto curiose e questa umiltà situazionale combinata con la curiosità ha creato un senso di sicurezza psicologica che ha permesso di correre rischi con degli sconosciuti, perché, ammettiamolo: è difficile parlare, è difficile chiedere aiuto, è difficile proporre un’idea che potrebbe anche essere stupida, se non si conoscono le persone molto bene. Per farlo serve sicurezza psicologica. Hanno superato quella che possiamo chiamare la sfida umana di base: è difficile imparare se già sai. Dobbiamo ricordare a noi stessi di essere curiosi di ciò che gli altri propongono. 

Dobbiamo anche aggiungere che è terribilmente difficile fare squadra se si vedono gli altri come concorrenti. 

Abraham Lincoln disse una volta: “Non mi piace molto quell’uomo. Devo conoscerlo meglio.”  

Questa è la mentalità che bisogna avere per un lavoro di squadra efficace. Lavorando in isolamento, possiamo ottenere risultati. Ma quando facciamo un passo indietro e ci mettiamo in contatto con altri, possono accadere miracoli. Si possono salvare minatori, curare pazienti e creare smart city. Per riuscirci, credo non ci sia consiglio migliore di questo: cerchiamo i talenti unici, le competenze e le speranze dei colleghi, e a nostra volta, trasmettiamo ciò che possiamo offrire. Perché, per collaborare e per costruire il futuro che sappiamo di poter creare, ma che non possiamo creare da soli, questa è la mentalità che ci serve. Per questo il teamwork è una competenza che viene richiesta dalle aziende. Viviamo in un mondo troppo complesso per i “battitori liberi”.

Nella nostra playlist allora aggiungiamo Leader dei The Clash, You get what you give dei New Radicals e Ci vuole molto coraggio degli Ex-Otago. 

Nazario De Mori

La solitudine dei capitani d’azienda

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Nelle aziende, coloro che sono al comando sono le persone che più di tutte vivono una continua solitudine legata al ruolo. Me ne accorgo ogni giorno di più, in occasione di incontri di lavoro, quando a tu per tu i capitani di aziende mi raccontano, come un fiume in piena, la loro esperienza.

I capitani di aziende, che mi capita di incontrare per lavoro, molto spesso si soffermano a raccontarmi che a loro viene chiesto di vestire ogni giorno gli abiti della persona motivata: decisionista ma allo stesso tempo ispiratrice, sicura di sé e visionaria al punto da rassicurare tutti sulla concretezza del loro posto di lavoro e sul valore del loro progetto professionale. Molto spesso la loro leadership è tale da gestire questa richiesta con tranquillità ed entusiasmo, ma ci sono dei momenti in cui le preoccupazioni sono molte, le banche che chiedono più garanzie, il mercato in flessione, gli aspetti organizzativi da risolvere, i clienti pressanti…

E guai in questi momenti a dimostrare stanchezza e preoccupazione potrebbe scattare, tra le risorse umane, l’idea che forse è meglio trovarsi un nuovo posto di lavoro e scappare…. Inoltre chi è convinto che circondarsi da personalità differenti sia un valore di cui l’azienda non può fare a meno, avverte anche la necessità di rapportarsi in modo differente con le risorse umane: riuscire ad essere sfidante con chi cerca competizione; rassicurante con chi ricerca tranquillità, coinvolgente con chi vive nel team la sua realizzazione.

E se le cose non vanno per il verso giusto, se la stanchezza assale o se lo stress è troppo alto, se i cambiamenti del mercato del lavoro sono stati così repentini da richiedere un nuovo assetto organizzativo e quindi regna una fase di confusione, se l’empatia con la risorsa non si trova? Con chi può confidarsi il nostro apicale?

A rendere questa sensazione di solitudine ancor più pesante c’è alcune volte la consapevolezza dei rumors aziendali, del lamento, del chiacchiericcio di chi durante la pausa caffè, nei corridoi, utilizzando sistemi di messaggistica interni, mugugna su chi comanda, sulla organizzazione confusa, sul “modello di leadership”, come se questo diffuso malessere non arrivasse alle orecchie attente del capo.

Quante volte sento affermazioni del tipo: è troppo intransigente, era meglio il padre, l’organizzazione non funziona, fossi io al suo posto farei meglio… Quando ciò accade avverto lo stesso senso di disagio di quando di fronte ai cancelli della scuola dei miei figli, alcune mamme dei bambini (spesso senza alcuna  esperienza) mi dicevano: “Non condivido il metodo didattico della maestra, indiciamo una riunione”. In mente mia mi chiedevo: “ma cosa dobbiamo dire in questa riunione? Perché non la facciamo lavorare questa “povera crista” e proviamo a supportarla invece di darle contro…già primi giorni di scuola”

Per anni ho pensato che un capo potesse essere “amico delle proprie risorse” cosi’ come anche per tanto tempo si è discusso sui genitori “amici” dei propri figli.

Niente… secondo me non vale in nessuno dei due casi.. chi è capo deve esercitare questo ruolo assumendo delle decisioni a volte impopolari, cercando di restare sempre un super-eroe nell’immaginario comune, costruendo relazioni profonde di stima e di rispetto che prescindono dalla ricerca della quotidiana complicità.

Ed è proprio nella quotidianità che a volte, scatta la solitudine di cui parlavo prima. L’impossibilità di essere sempre se stessi per vestire ogni giorno gli abiti di un condottiero senza paura.

Napoleone quando era stanco della guerra e stava per tornare, diceva a Giuseppina “Non lavarti, arrivo”, tutti hanno sempre raccontato questo episodio come un desiderio sessuale, io ho sempre pensato che Napoleone, stanco di dover essere sempre un condottiero senza paura, voleva sentire ogni tanto l’afrore dell’umanità.

Pina Basti

Vita on the road alla guida di imprese e persone

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Quando la vedo brillare negli occhi di un capo di azienda la riconosco subito ed appare senza dubbio alcuno. È una passione totalizzante che piano piano colma tutta la sfera lavorativa e personale, che non ti fa pensare ad altro, che genera fatica, spesso stress e preoccupazione, ma sempre orgoglio e soprattutto entusiasmo. Si, utilizzerei proprio questa parola “entusiasmo totalizzante” per raccontare l’atteggiamento di chi all’inizio della sua carriera ti descrive la propria azienda come la sua creatura ma anche di chi, dopo tanti anni, si eccita ancora di fronte ad un nuovo prodotto, immaginandone già successi a dir poco internazionali.

In questi anni ho fondato aziende, ho guidato start up, ho supportato giovani e meno giovani nella loro avventura imprenditoriale e oggi mi trovo spesso a offrire consulenza ad imprenditori sullo sviluppo delle loro “creature”. Ormai ho imparato a riconoscere quel fuoco che brucia dentro le persone che vivono l’azienda come passione: non ce l’hanno tutti e spesso quando non la ritrovo in chi (per cause familiari o fortuite) si trova a gestire una azienda, ne vedo subito la fatica estrema e in alcuni casi quasi la disperazione.

Ed è proprio di questo mio entusiasmo totalizzante che desidero parlare, per raccontare cosa ho imparato in questi anni nel mondo dell’impresa e delle organizzazioni: una visione di una donna che, malgrado tutto e tutti, adora ancora questo lavoro.

Durante un corso di creazione di impresa è per me scoccata la scintilla verso il mondo dell’imprenditorialità. Eppure non avevo nessun desiderio palese di avventurarmi nel mondo dell’”impresa” e cercavo una collocazione lavorativa capace di assicurarmi uno stipendio ogni mese, regolare e sicuro. Ma in quel Master, in quel lontano 1991, qualcosa si è acceso dentro di me e ancora oggi a quasi 30 anni di distanza sento ancora bruciare l’ardore di chi vive l’azienda come una enorme passione.

Pina Basti